48 – Lì

E’ passato un bel po’ di tempo da quando il nuovo arrivato ha fatto il suo ingresso nella mia ditta, ma quel buono a nulla non è ancora riuscito a diventare autonomo. Insomma, uno non può neanche leggersi il giornale in santa pace che arriva sempre lui a implorare aiuto.
Quella volta corse in ufficio a chiamarmi per aiutarlo con un cliente cinese. Doveva aver detto al cliente che io sono italiano: infatti, quando entrai in laboratorio, la prima cosa che mi chiese fu di quale zona fossi. Risposi con il solito disco preregistrato, e prima che potessi finire quello cominciò a parlare di calcio, di Serie A e di giocatori famosi e non. Iniziai a preoccuparmi seriamente quando sospettai che stava per invitarmi a una partitella tra amici, e cercai disperatamente di cambiare discorso con la prima cosa stupida che mi venne in mente.
“A proposito, lo sa che nella nostra ditta lavora una donna cinese?”
“Davvero? E di dov’è?”
Non sapevo di dove cazzo fosse. Mi resi conto che da quando l’avevo conosciuta ci parlavo solo per spiegarle il lavoro da fare al mio posto. Accidenti a me, dovrei essere meno timido di fronte alle pulzelle.
A questo punto lo sbarbatello intervenne nella discussione.
“Si chiama Lì, credo sia del Nord, vicino alla Russia o alla Corea del Nord, mi sembra…”
Ma come! Io non so nulla della cinesina, e questo moccioso sa pure da quale parte della Cina viene? Bisogna prendere provvedimenti.
Prima che il cliente ricominciasse a parlare di calcio, mi defilai con una scusa. Il mio collega poteva fottersi. Arrivato in ufficio, mi sedetti vicino a Lì e attaccai bottone.

Lì è una fanciulla dalla bellezza notevole. E’ uno splendido esemplare di razza mongoloide, con la pelle gialla e un accenno di lentiggini sugli zigomi. Il suo corpo, asciutto e muscoloso, ricorda le cavallerizze nomadi che abitano le sterminate praterie ai limiti del deserto del Gobi.
Il viso piatto è adornato da lunghi capelli, neri e lisci come spaghetti, ma il segreto del suo fascino sono i suoi occhietti a mandorla, monopalpebra e sottilissimi. Gran brutta cosa, questa, dal suo punto di vista. Qui vanno di moda gli occhi grandi e con le ciglia lunghe, l’esatto contrario di come ce li ha lei, e proprio per questo motivo sono abbastanza sicuro che i giapponesi la considerano un cesso.
Povera piccola. Non sa che a poche scrivanie di distanza siede un’anima gentile e altruista che, armata di uccello multifunzione, si farebbe in quattro per lenire le sue atroci sofferenze.
Non so neanche quanti anni abbia, perché il file degli impiegati non viene aggiornato da prima che arrivasse, ma alcune voci la danno per ventottenne. Anche la sua vita privata è un mistero; solo l’assenza di anelli sospetti mi fa immaginare a quale triste vita solitaria sia condannata la povera stella.

Parlammo per qualche decina di minuti del più e del meno, e tra una cosa e l’altra mi feci indicare nella mappa il punto esatto della sua casa in Cina. Ora che ne sapevo più dello sbarbatello, potevo ritenermi soddisfatto.

***

Qualche settimana fa, poco dopo la nostra chiacchierata, Lì ha cominciato a cambiare. Si è tagliata i capelli più corti e da qualche giorno se li è fatti mossi. Ogni tanto la becco che guarda, e ora che ci penso la trovo più affettuosa di prima. Io la ricambio, accompagnandola la mattina a ricevere i clienti, e  amo farmi precedere quando saliamo le scale.

Ieri è arrivato un forte tifone che ha creato molti disagi ai trasporti pubblici. Io ero alle prese con un cliente, e Lì è venuta da me in laboratorio.
“I treni sono fermi, come facciamo a tornare?”
Piccola mia, perché lo chiedi a me? Tu vai verso Yokohama, io verso Tokyo. Prendiamo treni diversi in direzioni opposte e lo sai benissimo, ma non te lo ricordo perché voglio vedere dove vuoi arrivare. E ora eccoti la mia risposta di circostanza:
“Ora finisco con i clienti e poi vediamo.”
“Ti prego, finisci in fretta e torniamo insieme!”
Poi magari ci sorprende la pioggia, i treni non ripartono e siamo costretti a pernottare in un albergo. Capisco. Sono cose che capitano, e nessuno può sottrarsi alla volontà divina.

Dopo un’ora di straordinario, terminato con il cliente, sono salito in ufficio. Lì non c’era più. Non vedendomi arrivare, doveva essersi arresa all’idea di tornare da sola.
E oggi in ufficio non è venuta. Stava male, dice. Immagino. Deve aver passato la notte in lacrime, pensando all’occasione mancata di trovarsi a tu per tu con il mitico multifunzione.
Forse la vita le darà il tempo per rifarsi. Nel frattempo la storia continua, e qualunque cosa accada in futuro, mi dispiace tantissimo, ma il racconto si ferma qui.

11 thoughts on “48 – Lì”

  1. bene, oramai la Li si è praticamente cotta da sola, ti auguro di assaggiarne un bel boccone prelibato (lo stesso che da il nome al Tag)…io però avrei lasciato un piccolo pacchetto regalo sulla sua scrivania con annesso bigliettino di scuse per farmi perdonare, sei sempre in tempo, serve a “marcare” la memoria della pulzella, a niente altro, in quel modo ricorderà sempre il tuo pensiero e lo stesso accadimento, poi male che vada….sarà sempre un opera cortese, bisogna essere cortesi con le donne no!?

  2. (inforcando gli occhiali e dandosi un tono pseudo-intelletualoide)

    Direi la sagoma vulviforme della Sig.ra Lì esprime una specie di risvolto Freudiano, tipo la materializzazione di una certa idea fissa, una sorta di chiodo e si sa:
    – i chiodi bisogna martellarli
    – con forza
    – fino in fondo
    – senza pietà

    Consiglio una serie di sedute nello studio di una collega di Tokyo, non si faccia ingannare dal cartello fuori dallo stabile (SM倶楽部) il master lo ha preso ad Harvard…

    😀

    1. La sagoma cosa? Non ti seguo…
      .
      .
      .
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      Noooooo, ora ho capito…. 😀 Che malizioso, non avrei mai pensato a una cosa del genere! Il disegno era solo il progetto di un ciondolino da appendermi al naso! 😀

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